Tutta la mia rabbia
Recensione.
Questo è uno di quei libri che senti di pancia, dove le
sensazioni hanno un risucchio che avverti per tanto tempo, anche dopo aver girato l'ultima pagina. Tutta la mia rabbia
è una lettura che dà un brivido da pelle d’oca continua. C’è il senso della vita,
delle ingiustizie, delle disperazioni e delle vergogne che si ingoiano, ma
anche di bellezze e gioie effimere. E qualcosa di più duraturo, qualcosa che
non si vede ma si sente; quel qualcosa che ti fa battere il cuore, che ti fa
piangere nel cuore della notte, che ti spinge a non arrenderti, nonostante
tutto.
I personaggi sono ben caratterizzati, ognuno con le proprie
spigolosità e incertezze, con le sue piccole forze e paure. Proprio per la loro
veridicità questi personaggi ci investono con la forza di un realismo profondo
e tagliente. Vediamo da più vicino i due protagonisti principali del romanzo:
- Noor. Una ragazza che viene dal Punjab, arrivata in America grazie allo zio Chachu, che ha aperto un negozio di alcolici per potersi mantenere, rinunciando ai suoi studi matematici. Noor nasconde un segreto, un malessere vago che ci colpisce, per una buona durata della narrazione, proprio per non avere i bordi ben delineati. Ed è proprio questo che riempie il desiderio di fuggire via da Juniper, la piccola città californiana in cui vive. Noor sogna il college e una vita normale.
- Dall’altra parte abbiamo Salahudin, dove i genitori gestiscono un motel chiamato “Il riposo delle nuvole” ed è il migliore amico di Noor. Sal sa usare bene le parole e dargli un ordine. Lo fa sentire bene. Insieme a Noor, anche lui ha un malessere che rimane avvolto nell’oscurità per la maggior parte del tempo. Si ritroverà a cercare di rimanere in piedi dopo la tragica morte della madre, col padre alcolizzato e tanti debiti e bollette da pagare. Salahudin si troverà gettato nella vita adulta, in modo ingiusto, dove gli eventi lo costringeranno a crescere prima del tempo e a prendere decisioni sbagliate.
Il romanzo ha due tempi differenti. Il presente, in cui facciamo compagnia ai nostri due protagonisti mentre si destreggiano nella loro vita, e un passato. Nel passato assaporiamo la vita di Misbah, la madre di Sal a cui anche Noor era molto legata; da giovane che viene data in sposa a Toufiq, e come si adattano alla loro nuova vita insieme. Sono momenti di narrazione delicati, lievi, mentre viviamo la placida vita vicino a Lahore, i tè speziati e i giochi nel pomeriggio inoltrato insieme ai loro padri, le ingiurie della madre ubriaca del marito, dei momenti in cui è ora di accarezzare sogni inespressi.
La narrazione è piena, dolce, furiosa, e si insinua dentro il lettore con una facilità incomprensibile. È gonfia di sentimenti non detti e altri urlati, è fatta di silenzi tra le parole d’inchiostro.
Il romanzo è un piccolo capolavoro costellato di vite infrante e rimesse insieme con i pezzi che si ritrovano, di poesie lucide che lasciano una scia visibile anche nelle notti più buie.
E ci mostra come i sentimenti siano complessi. Non è facile odiare, perdonare e amare qualcuno senza scivolare in un territorio che è tutto e niente, senza macchiarlo di altro. Sal sa che non dovrebbe odiare suo padre, sa che soffre tacendo sprazzi di vita, eppure non riesce a non farlo. Ma allo stesso tempo, Sal, dopo la morte di Ama si sente in colpa per non aver insistito di più sul farla curare, si ritrova a pensare che se doveva proprio andarsene qualcuno sarebbe stato meglio Abu che sua madre. Emozioni che lacerano dense e cruente.
E poi c’è la rabbia. La rabbia che brucia nelle viscere, quella che si acquatta dentro e si ciba di tutto quello a cui riesce a mettere mano. La rabbia che guasta, quella che ferisce, quella che cura, quella che scoppia improvvisa e non si riesce a fermare. Noor e Sal sono colmi di una rabbia che porta un nome e che hanno covato dentro facendole mettere radici e rampicanti. Nutrendola, disprezzandola, in una spirale a cui sembra non esserci fine.
E tra tutto questo ci sono loro due: Salahudin e Noor, che cercano di sopravvivere insieme. Noor non vuole rimanere a lavorare nel negozio di suo zio e vorrebbe andare al college. Sal cerca solo di aggiustarsi alla sua nuova quotidianità senza la madre, cercando di ignorare i creditori e il problema di alcolismo di abu. Entrambi si aggrappano l’un l’altro, sapendo che possono contare sull’altro, sapendo che forse insieme possono resistere.
Il romanzo schiaccia via queste speranze, le rivolta, le fa a pezzi. I nostri protagonisti sono alla deriva, ma forse è quello che gli serve. Per lasciarsi andare, per provare la rabbia che si portano dentro, per urlare, per piangere, per sentirsi traditi… per guarire.
Tra i temi fondamentali del libro troviamo il lutto e la sopravvivenza al lutto. Noor per un compito di Inglese deve analizzare la poesia di Elisabeth Bishop, dove sprazzi della suddetta poesia aprono le diversi parti del romanzo. È una poesia che parla sul valore della perdita, perdita di oggetti e luoghi che può benissimo prestarsi alla perdita che genera il lutto. La Bishop invita ad abituarci alla perdita, che forse a volte dovremmo pure accoglierla e Noor e Sal dovranno fare i conti con ciò.
È il perno del romanzo: la perdita di qualcosa che ti porta in un dove che non avevi mai immaginato. Così è per Sal quando perde la madre e sceglie di perdere anche il motel, espressione del sogno e dell’amore di Misbah, cosi è per Noor che decidere di perdere le cose a cui si teneva disperatamente aggrappata e lasciare che gli argini si allarghino, facendo uscire le paure e il mostro che si celava dietro.
Inoltre, nel romanzo è onnipresente anche il tema del razzismo, a volte è quasi impercettibile, altre volte è più evidenziato, spesso mascherato. Parole che mirano a ferire senza prendersi la briga di comprendere, le apparenze che pesano più di qualsiasi cosa. Un colore della pelle, un nome esotico, il razzismo non vede altro. Si ferma all’uscio e crede di aver capito tutto, riempiendosi di pregiudizi, sentito dire, desiderio di schiacciare il diverso e farlo sentire ancora più sbagliato. E l’odio snaturato che lo segue sempre, volendo ferire e umiliare.
Ma Tutta la mia rabbia non è solo questo. È perdita, ribalta, paura, sconforto, disperazione, flebile speranza, dolore, complicità, aiuto. Ci attraversano tutti, come onde furiose che ci ghiacciano con l’amara promessa di ritornare a inondarci. E anche sapendolo i nostri piedi non si muovono.
Il senso di colpa che prova Noor è opprimente, non riesce a liberarsene e si lascia tirare giù, silenziosamente. Vorrebbe scappare, vorrebbe la vita di una ragazza normale, vorrebbe meno violenze. Ma il senso di colpa non le lascia scampo, le ricorda lapidario come debba tutto a Chachu, che è andato a riprenderla tra le macerie del suo villaggio distrutto, che l’ha portata in America con lui.
Sal prova un altro tipo di senso di colpa, che strida e lo appesantisce, rendendolo goffo e incapace di dargli parole.
I nostri protagonisti si libereranno della rabbia, piano, smaltendola e dandole il giusto peso, cercando di non dimenticare ma allo stesso tempo di non rimanerci ancorati. E per fare questi piccoli passi, ritrovano le parole di Misbah a guidarli. A dargli forza, speranza, amore. E riescono, finalmente, a perdonare sì, ma cosa più importante a perdonarsi.
Tutta la mia rabbia un libro necessario, che ti scava dentro scoperchiandoti. E che attraverso i suoi personaggi riesce a donarti tante cose, tra cui l’importanza di dare il giusto valore alla vita e di non lasciarti soccombere, neanche da ciò che ti sembra insormontabile.
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