La divina avventura
Recensione.
La divina avventura è un romanzo d’esordio, dalle tonalità
fantasy e di formazione dove il viaggio è uno dei concetti fondamentali del
libro, visto come stimolo per conoscersi e rendersi consapevole di ciò che ci
circonda.
Fin dalle prime pagine la prosa riesce a catturarci con la
sua magia e a condurci tra le pieghe di un mondo fantastico, tratteggiandoci
una città, Baltica, con una vividezza che la fa quasi divenire reale.
Una città governata in base al colore delle propria tunica,
che dovrebbe evidenziare la purezza del cuore, ovviamente più linda è la tunica
più si dovrebbe essere vicino al dio, KS. Vediamoli da più vicino: i bianchi,
sono i puri quelli capaci di poter trascendere e vivere per l’eternità
nell’Eden. I grigi, sono quelli che devono ancora perfezionarsi per poter avere
la possibilità di trascendere; e infine abbiamo i neri, rigettati da KS che
vivono nella città Zero, e che hanno un cuore smarrito e il sapore di libertà a
cui non vogliono rinunciare.
La domanda essenziale che ci pone il romanzo fin dall’inizio
è la seguente: quanto conta la perfezione? Un interrogativo che macera il
lettore e che il libro nel suo svolgimento cercherà di formulare una risposta.
Essere perfetti conta davvero così tanto? Vedremo come i protagonisti della
Divina avventura agiranno sotto il peso di tale quesito, che terrorizza, fa
sperare e da la cieca forza di compiere scelte ardue.
Kato, il protagonista, è afflitto per non essere in grado,
nonostante il tempo e la devozione spesa, di raggiungere la perfezione. È
invecchiato e sente che il suo tempo si avvicina inevitabile alla fine, prima
di ciò desidera ardentemente di trascendere.
Il suo dio gli affiderà un compito: ritrovare Overton,
ricondurlo a Baltica e farlo diventare perfetto, se riuscirà nel proprio
intento KS gli concederà l’anelato sogno di poter dimorare nell’Eden. Ed è qui
che inizia il nostro viaggio, insieme a Kato, che dovrà avventurarsi fuori di
Baltica in un mondo corrotto, disperato e incerto.
Tra le dune e la desolazione che brucia, Kato scoprirà per
la prima volta cos’è la disperazione che ha artigli e dilania dentro,
distruggendo volontà e controllo che si credevano granitiche, lasciando libero
l’istinto di sopravvivenza che lo porterà a mettere in discussione tutte le sue
certezze.
Kato volta con facilità le spalle ai propri ideali per
mentire, soggiogare e manipolare. Tutto per far sì che Overton, il ragazzo del
deserto, ritorni con lui. Tutto per poter passare l’eternità con la donna che
ama, Luna.
Overton, d’altro canto, deciderà di partire per Baltica
grazie alla vuota promessa di Kato di poter ritrovarsi con la propria madre
nell’Eden. È un personaggio ruvido e determinato, a cui le regole della città
stanno strette perché limitano il suo desiderio di curiosità sul mondo e
soprattutto prive della libertà che si è lasciato alle spalle.
La narrazione è scorrevole e lineare, ricca di
sentimentalismo, introspezione e filosofia. Ha un nucleo colmo di poesia che
riesce ad impreziosire determinati passaggi di narrazione. L’attimo prima di un
bacio che sa di addio, occhi che comunicano più di quanto si voglia, la
bellezza del mare che si infrange sulla battigia, il dolore sordo e greve di un
amore non corrisposto, un sospiro trattenuto, una parola taciuta.
Ha un world building non definito, viene generalmente
vissuto da sfondo alla storia dei personaggi, ma quel poco che sappiamo riesce
ad incuriosire il lettore, come la vastità pericolosa del deserto e dei mostri
al suo interno, le città decadute e inghiottite dallo scorrere del tempo o ciò che possono celare i ghiacciai.
Personalmente, il mondo idilliaco di Kato mi ha fin da
subito resa sospettosa. Come se fosse volutamente avvolta da una patina lucente
per distrarre sia il lettore che i discepoli di Baltica. E gli abitanti della
città sono disposti a rinunciare a tutto pur di aspirare alla perfezione… ma
cos’è esattamente la perfezione? Chi decide i suoi parametri? Domande che
spaccano il lettore facendolo immergere in riflessioni, dubbi e pensieri in
bilico, come i protagonisti…
Sia Kato che Orton sono più simili di quanto vogliano
credere; entrambi optano la scelta “facile” per poter raggiungere i propri
scopi. Kato, per un bel tratto di narrazione, mi è insofferente e parecchio
arrogante. Un personaggio che predica bene ma razzola male, e nonostante ne sia
consapevole cerca di rifuggire dalle conseguenze. Accecato dal desiderio di
poter finalmente trascendere e di poter conquistare Luna, non vuol sentir
ragioni, non si cura neanche dei desideri o pensieri altrui. Mentire è
dolcissimo e Kato ne è assuefatto, anche se è consapevole di star continuando a
mentire, per poi pentirsene sempre nel momento in cui viene scoperto.
Dall’altra parte, anche Orton è egoista. La paura di non
essere accettato per quello che è, con il suo passato da vagabondo nelle dune,
lo porta a mentire pur di poter mantenere la tonaca pura. Bianca, come
l’assenza di contraddizioni e dubbi.
Ed è proprio in questa parte che il romanzo ci conduce in un
sentiero pieno di insidie, dove l’illusione appare il nettare più dolce e
dissetante, ma alcuni dei personaggi rinunceranno alla perfezione per poter,
finalmente, essere sinceri con se stessi. Infatti, a metà il libro si spacca,
capovolgendosi.
La pace di Baltica viene arsa, con una furia annientatrice
che mozza il respiro. I sopravvissuti non sanno più cosa credere e cosa fare,
vacillano in preda ai tormenti. L’Eden è sparito, insieme alla sua promessa di
eternità. E la bolla in cui sono vissuti fin’ora scompare, lasciando il mondo,
la realtà, la vita penetrare le mura bianche di Baltica, reclamandola
silenziosamente.
Ed ecco che da simili, Overton e Kato, vanno agli antipodi,
a volte riuscendo ad incontrarsi a metà sentiero. Ma per il resto credono e
soprattutto reputano importanti cose differenti, e le loro strade lì
condurranno in due vie separate, opposte in un certo senso. Mentre Kato, ormai
folle e spaventato, attraverso la coercizione e lo sboccio di sentimenti oscuri
conduce i discepoli verso la speranza di poter ancora giungere in Eden; Overton
decide di non fuggire più dai propri errori e di insabbiarli sotto altre bugie,
affronterà le conseguenze delle proprie azioni e cercherà redenzione, partendo
con i suoi amici, Maya e Govin, per salvare Kato.
Gli eventi prendono una piega inquietante, anche se fin
dall’inizio si può percepire qualcosa di fuori posto. Alcuni tratti mi hanno
ricordato un episodio della serie Black Mirror, non dirò quale per evitare
spoiler.
Il romanzo trascina con sé diversi temi: la possibilità di
migliorarsi, affrontare le proprie paure e vedere al di là delle proprie
convinzioni. L’importanza di preservare la natura e non cedere totalmente
all’avidità umana che porta a sfruttare la terra senza pensare al futuro e a
deturparla con inquinamento e innumerevoli guerre. Ma non solo, abbiamo anche
l’accettazione della morte, l’assuefazione imprudente alla tecnologia, la
cecità della fede che disprezza la ragione, il valore delle persone di cui ci
circondiamo, del tempo che scorre e non torna più indietro. Un volume ricco di
filosofia che evidenzia come l’essere umano è incredibilmente vasto e
contraddittorio al suo interno. Il libro, in questo senso, è un invito a non
temere l’ignoto a priori e lasciarsi emozionare dalla vita, dalle cose belle e
i momenti tristi in un miscuglio unico e indivisibile.
Overton, prima della fine, si ritroverà ad affrontare una
nuova sfida, intensa e intima come il fondale silenzioso del mare. Dove la
forza dirompente della natura, il corso della vita e l’istinto di sopravvivenza
giocheranno un ruolo fondamentale. Una prova che cambierà in modo irrimediabile
il personaggio di Overton.
Le ultime pagine sono travolgenti e spronano il lettore a
farsi una propria interpretazione di ciò che non si può sapere. L’ignoto fa
paura, ma questo non vuol dire che non può essere affrontato con spirito di
avventura. La perfezione è un concetto irraggiungibile e menomale direi, è un
concetto asettico, una tela bianca, priva delle sbavature che ci rendono umani.
In conclusione, a volte ci sono tratti di narrazione in cui
i personaggi cambiano idea in modo fin troppo repentino, e mi sarebbe piaciuto
un maggiore accento su tutto l’aspetto distopico promettente che il romanzo
accenna, concentrandosi, invece, maggiormente sull’introspezione dei suoi
protagonisti, una scelta comunque apprezzabile che rispetto.
La Divina avventura è fedele al proprio titolo. Ci
imbarchiamo in un viaggio pieno di accadimenti e di cambi di rotta, di momenti
belli, preziosi e incerti, di consapevolezza che si cristallizza dopo una
tempesta e che da coraggio di cambiare per poter migliorarsi.
Un viaggio che tocca nel profondo ogni lettore, in modo
personale, riuscendo però a lasciare un bel ricordo dietro di sé, che sa
rimanere sempre all’orizzonte, come il cielo e il mare quando si sfiorano.
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