Il vento soffia dove vuole
Recensione.
Nuovissimo romanzo firmato dalla Tamaro, che torna ad
emozionarci con una storia delicata e vera sull’essere umano e i suoi infiniti spigoli.
Chiara, la nostra protagonista, si ritrova sola nella sua
casa in mezzo ai boschi appena dopo Natale. Approfitterà di questo breve tempo
di solitudine e raccoglimento per scrivere tre lettere, indirizzate alla sua
famiglia, in cui cercherà di trasmettere l’inesprimibile. L’amore, i sogni, il
passato, le sensazioni che permangono, la vita che è stata vissuta e che la
resa la donna che è adesso.
Chiara assomiglia in qualche modo ad Olga, la protagonista
di “Va dove ti porta il cuore” (per recensione clicca qui); entrambe sono donne
che si scuciono di fronte a noi, senza voler altro che mostrarsi per quello che
si è. Entrambe trasmettono tanto attraverso carta ed inchiostro sperando di
poter raggiungere i propri cari.
Ma le assonanze con il romanzo "Va dove ti porta il cuore" non finiscono qui: c’è il contatto lieve con la fede che arriva come la
risposta che non si sapeva di star cercando, c’è la vita in tutte le sue forme
e incongruenze a cui la protagonista da un senso, c’è il fulcro dell’esistenza
che scivola in un multiuniverso composto da tante leggi che ancora non
conosciamo, c’è la morte e la sua considerazione che può riflettere come una
luna quieta sul mare oppure essere il baratro finale in cui veniamo
risucchiati.
La narrazione della Tamaro non delude. La sua protagonista
si sveste con una delicatezza decisa che sa di vita vissuta e desiderio
viscerale di raggiungere le persone amate, di lasciare a loro qualcosa di
concreto. Ma non solo, riesce a cogliere aspetti dell’esistenza che lasciano
una scia di pelle d’oca e sensazioni ataviche che si risvegliano e si
riconoscono nel lettore.
La prima lettera che Chiara scrive è indirizzata alla sua
primogenita, Alisha, la figlia adottiva. Srotola di fronte a noi il suo bisogno
d’identità che però non annebbia il presente, come invece temeva Chiara. Alisha
è una luce che riverbera ovunque e riscalda il cuore della nostra protagonista.
Qui, Chiara, apre una digressione, e ci mostra sprazzi della
sua gioventù rivelandoci il suo bozzolo di fragilità e solitudine. L’arrivo di
Cesare, il ragazzo dell’ultimo anno di liceo che irrompe nella sua piccola
bolla, scoppiandola. Cesare che le fa scoprire l’amore giovanile e la
disperazione fredda e composta che ne consegue. La decisione, poi, di
intraprendere gli studi di Biologia e la necessità di ritrovare bellezza in un
mondo che le appare distante e inconcludente. L’apprensione che non ha un nome,
ma che la segue da anni silenziosamente, un terreno pressoché sconosciuto dove
emozioni differenti si rimestavano al pensiero dell’aborto avuto, il Problema
rimasto sospeso dentro la nostra protagonista che diviene più grosso e
ingestibile quando si accinge a diventare madre.
Chiara scopre nella lettera tutte le sue incertezze
nell’adottare Alisha, soprattutto quando scopre di essere incinta di Ginevra. E
poi l’amore che sboccia stabile e denso, per una figlia dall’altra parte del
mondo che ti attende e che già senti tua. Seguono le piccole rivalità tra
sorelle, le preoccupazioni di genitori che si proiettano in un futuro dove
lasceranno sole le loro figlie. La lettera si conclude con la speranza calda
come la promessa di un abbraccio, che Chiara riversa nella sua Alisha, sapendo
concreta e gentile, a cui non smetterà mai di essere grata.
La seconda lettera è indirizzata a Ginevra, la
secondogenita. Ci appare subito chiaro che il carattere di Ginevra è molto
diverso da quello della sorella. Ribelle, aristocratica, fredda all’apparenza,
capricciosa con un grumo affamato e arrabbiato che non riesce bene a capire.
Chiara, sa che la figlia ha preso dal suo ramo materno e dall’orgoglio
inculcato di appartenere ad una famiglia nobile e tutto ciò che ne comporta, dunque,
Chiara con gentile fermezza decide di schiudersi davanti a Ginevra, attraverso
parole vergate, raccontandosi e cercando di diramare un po’ la nebbia che
avvolge la sua infanzia e quella apparentemente irraggiungibile di sua madre,
la nonna di Ginevra.
Le narra degli anni Sessanta, Settanta, delle case enormi al
centro città che nonostante tutti i mobili pregiati e gli austeri ritratti di
famiglia conservava una desolata freddezza. Chiara nasce in una famiglia con
genitori che si amano, ma lei si sente quasi estranea, una sorta di obbligo
dovuto e svolto, un’erede di geni e avi, nient’altro. Le pagine crescono e
veniamo a conoscenza della libertà sudata, sofferta ma anelata che Chiara
intraprende per liberarsi dalla catena pesante che la tiene ferma in un
sentiero già prestabilito. Una catena che rappresenta tante cose ma soprattutto
l’eredità di una famiglia, di un destino già scritto e tracciato di cui si
sarebbe dovuta solo limitare a percorrerlo quietamente.
Chiara e Ginevra, che ci appaiono opposte eppure vicine. La
nostra protagonista racconta l’incontro con Davide, suo marito, che sembrava
essere arrivato da un altro mondo e l’aveva vista per quello che era davvero.
Le parla del salto generazionale, delle inquietudini cambiate e di come la
tecnologia abbia mutato la percezione di ogni cosa, anche dell’essere umano.
Chiara conclude la lettera a sua figlia ricordandole di non
sminuire le emozioni che la rendono la persona meravigliosa che potrà diventare
e spiccare il volo.
La terza e ultima lettera, è dedicata a Davide, il marito. È
la lettera più intima e vivida, Chiara riempie la carta con un’insieme di
emozioni, riflessioni, ricordi che rendono tutti così realistico che lo avverti
come se lo stessi provando tu medesima. Come se il confine tra Chiara e il
lettore, che per tutto il romanzo è stato comunque flebile, di colpo scompare e
ti schianti nella sua realtà, che si mescola alla tua senza più trovare una
vera distinzione.
A Davide, Chiara si mostra con una libertà che è piena
d’amore e di rispetto nei confronti di un rapporto che è cresciuto e si è
ramificato nel tempo, diventando indissolubile e fondamentale, come se una
parte di sé abbia finalmente trovato la metà mancante.
In questo romanzo sono tanti gli argomenti sfiorati che
inducono il lettore alla riflessione. L’importanza della memoria, di lasciare
qualcosa di concreto di sé per essere ricordati ma soprattutto per continuare
in qualche modo ad esserci e non rimanere solo inanimate foto digitali salvate
in qualche pc. L’importanza del dialogo, di esprimersi e di comunicare oltre le
superficialità quotidiane e imposte. L’importanza di appartenere, sapere chi si
è avendo consapevolezza di cosa c’è dietro, del bagaglio vasto e complesso che
ogni essere umano trascina con sé. I drammi, le gioie, i dolori, tuoi, certo ma
anche dei propri figli, genitori, nonni, risalendo in una spirale che sembra
non avere mai fine. L’importanza di amare, senza nessun altro tornaconto.
L’importanza di scegliersi e poter scoprire che seme essere. L’importanza dei genitori
e di come essi appaiono agli occhi dei figli, entità che non sono proprio
essere umani a sé, ma qualcosa di vicino e lontano che non è ben definito. E
soprattutto la consapevolezza di poter amare senza altre pretese e saper
riconoscere il dolore, proprio e quello altrui, cercare di levigarlo e
rispettarlo.
Davvero, ci sono certi passaggi di questo romanzo che ti
colpiscono ad una velocità preoccupante, feriscono e curano, esigendo di essere
riconosciuti. Il vento soffia dove vuole ci scopre con delicatezza, sì, ma allo
stesso tempo in modo intransigente, mettendoci di fronte alla vita con tutti i
suoi misteri e sfumature di meraviglia e terrore. Sempre luce e oscurità, un
equilibrio che dobbiamo imparare a saper apprezzare, tra le cose che esistono e
quello che potrebbero. Galleggiamo tra onde di universi che collidono, tra
possibilità reali e quelle quasi impossibili.
La Tamaro ci fa riscoprire la bellezza liberatoria di
mettere per iscritto ciò che rimane dentro di noi. Quant’è soddisfacente e
intimo scrivere una lettera? Riversare le emozioni che si addensano, i
turbamenti che guastano, insomma, un piccolo scorcio di ciò che siamo davvero.
E anche la possibilità preziosa che diamo al destinatario di mostraci per ciò
che siamo, senza filtri, senza opinioni altrui, senza limiti.
In conclusione, Il vento soffia dove vuole ci colpisce con
la sua spensieratezza, vivacità e pesantezza. Il punto è che non si può
controllare, può risultare un concetto facile da capire ma in realtà non lo è.
È l’accettazione di ciò che conduce alla maturità in una persona: ci sono cose
che non possono essere controllate. Fa paura, vero? Sapere di essere in balia
del vento e non poter far nulla; che sia una barchetta in un marre burrascoso
di dubbi e rimpianti, che sia un altopiano dolce di ricordi e serenità stese ad
asciugare, che sia nel baratro che tutti ci ritroveremo ad affrontare. È il
Viriditas, l’energia della natura e di ciò che lo nutre, una forza
inarrestabile che si trascina misteri eterni e che, a volte, ci può sfiorare
con riguardo, concretizzando certezze e possibilità che non stanno mai ferme.
Il vento soffia dove vuole e improvvisamente ti senti un po’
in pace.
Queste lettere sono la manifestazione di tanti piccoli atti
d’amore a cui si vuole lasciare un’impronta che abbia un senso. Lettere
indirizzate a persone che le leggeranno solo dopo la fine dell’esistenza di
Chiara. Eppure, l’amore contenuto e lasciato maturare in un inchiostro ormai
asciutto ha saputo raggiungere anche noi.
Commenti
Posta un commento