La Fuliara, storia di una maledizione

 


Autrice: Anna Chisari

Titolo: La Fuliara, storia di una maledizione

Trama: Belpasso, 1858. “Gnu Ranna”: questo è il nome che le hanno affibbiato, insieme a quello di strega, fattucchiera, speziale. Ma, prima di scagliare una maledizione su un'intera stirpe – la famiglia Baruneddu, condannata a una vita di sfortunati amori –, Gnu Ranna aveva un altro nome. Si chiamava Veneranda Balsamo, ed era solo una ragazzina affidata dal padre alle cure di una mavara che le ha insegnato come trovare le erbe giuste per curare le malattie, riconoscere i boccioli dei fiori alla luce chiara dell'alba e vivere dei frutti della terra. Giorno dopo giorno, anche Veneranda è diventata una mavara di talento, a cui tutti gli abitanti di Belpasso si sono rivolti con fiducia. In particolare le donne che si recavano nel retro del negozio del padre a chiederle aiuto per i loro bambini o per un dolore troppo tenace. Lì erano al sicuro. Ma nessuna donna, a Belpasso, lo è mai del tutto. Nessun uomo sa rispettare un «no» mormorato con paura. Per questo, quando la figlia scappa con un Baruneddu, Veneranda decide di diventare una strega. Tutto pur di proteggerla e tenerla vicino. Perché lei, dalla madre, dalla nonna e da quelle prima di loro, ha ereditato una macchia. Una macchia che ha segnato il suo destino. Una macchia impressa dai masculi. Una macchia che, come inchiostro, si allarga di generazione in generazione. Il vento dell'Etna ha conquistato pubblico e critica raccontando la storia di una famiglia alle prese con una maledizione. Ripartendo dalla stessa affascinante ambientazione, Anna Chisari esplora l'origine di quell'anatema. Dimostra che siamo discendenti di chi ci ha preceduto, ma che è anche possibile rompere le catene che ci rendono schiavi.

Prezzo di copertina: 17,60 euro.

Recensione

Ci sono prologhi che incantano, con la certezza che quello che si sta per accingere a leggere sarà qualcosa che ci darà un forte scossone. La Fuliara è la storia familiare che si intreccia ad una maledizione, l’autrice intreccia l’idea di un trauma che si erediti, si accentui in alcuni e che sia dormiente in altri ma pronto a scatenarsi. 
La Fuliara è ambientato a metà Ottocento in Sicilia, diversi saranno i personaggi di questa storia, e alcuni di loro vivono delle vite molto faticose, di stenti, di speranze rubate. 
Ma è soprattutto una storia di donne, taciturne, resilienti, adombrate, feroci nel loro raccoglimento. È una storia di dolore, di respiri, di rabbia che rimane intrappolata tra i denti, di peccati e vergogne addossati alle donne come strati di vesti che sono costrette ad indossare. Di  libertà sfiorate ma sempre irraggiungibili
La prosa è piena, fluida e capace di saper scavare nella vicenda e nei personaggi che la animano. 
I primi due fondamentali che danno il via a questa storia sono: 
Angelina, un’adolescente di Belpasso, mite e innocente, che dopo la deprecabile violenza subita viene mandata in convento a Catania, per nascondere la vergogna e per partorire. Angelina non ha memoria dello stupro e non riesce a comprendere del perché la sua pancia continua a crescere e diventare dura. Il neonato verrà mandato via e la nostra giovane ragazza non comprenderà mai cosa sia accaduto, con il ricordo solo di aver un forte mal di stomaco… adesso, però, è felice perché può tornare a casa sua, da sua madre, al suo nido domestico. 
Cateno, quello che diventerà il temibile “u Sacrestanu” che violenterà Angelina e seminerà terrore vicino Belpasso, macchiandosi di violenze indicibili. L’autrice, però, ci fa sbirciare la storia di Cateno e dei sui mutamenti: abbandonato nella ruota di una chiesa a Catania, cresce tra le sue mura. Cateno, però, sogna qualcosa di diverso e alla prima occasione si imbarca su una nave diventandone il mozzo. Qui il mondo del personaggio sembra dilatarsi: stelle lucenti e un mare che riserva sempre qualche sorpresa.
Ma Cateno è solo, si ammala e diversi marinai si approfittano di lui. È un momento fondamentale: l’ingenuità viene fatta a pezzi, tra dolore e rabbia, Cateno muta in maniera inevitabile, la sua macchia cresce. Vizioso, arrabbiato e crudele, creerà un piccolo gruppo di banditi, per rubare, ingannare, uccidere, terrorizzare e stuprare. 
La vicenda prosegue e arriviamo a Tanina, frutto della violenza subita da Angelina, che doveva essere accolta da una ricca famiglia senza eredi, che appena saputo che si trattava di una femmina decisero di non volerla. Una donna non è un uomo, la maggiore delle colpe a quanto pare. 
Tanina viene abbandonata appena nata e poi adottata da due poveri mendicanti, che non badono molto a lei e che le insegnano a chiedere l’elemosina. Tanina è il personaggio che strazierà il cuore del lettore, un fiore che cerca disperatamente di radicarsi per poter raffozzarsi. 
È una figlia di quartiere, allevata dalle genti che abitano nella stessa vanedda, vicolo. Cresce, curiosa e intelligente, tra la fame, il freddo e molte altre mancanze. La “madre” la disprezza e non ha mai provato altro che odio. Il padre, colui che l’aveva trovata e deciso di portare con sé, è scostante e superficiale nel tentare di dare affetto a quella creaturina. A sette anni viene mandata nelle case altrui per svolgere lavori impegnativi, lava, lucida, pulisce strofina con impegno e con una forza incredibile, Tanina lavora duramente per poter raggiungere il suo sogno: crescere e mettere da parte qualche soldo per poter sposarsi con Sariddu, l’amico d’infanzia di cui è innamorata. Una speranza che viene spezzata nel più crudele dei modi: il padre, a cui piace giocare, ha un debito e dunque vende, senza pensarci due volte, la figlia. 
La macchia si allarga e si appesantisce. 
E Veneranda, la sopravvissuta dei tanti figli avuti da Tanina, fa il suo ingresso in questa storia. Qui ci imbattiamo anche in Donna Lucia, detta la Fuliara, un’anziana donna capace di “aggiustare” malanni, ossa, curare il malocchio e usare le erbe per intrugli miracolosi. È proprio così che salva Veneranda da un male, si affeziona alla bambina ed ella verrà allevata dalla mavara
Questi sono anni belli, pieni di felicità, di semplicità e di calore, la vecchia Fuliara insegna a Veneranda a conoscere le piante e i ritmi delle stagioni, che regalano sempre frutti diversi. E ancora, come curare il malocchio, come sfiammare corpi, anime e cuori. Veneranda, in quella piccola casa che profuma sempre di fiori e circondata dai numerosi gatti cresce, si assottiglia, si radica, fino a sbocciare. Intelligente, capace, giudiziosa, testarda, attraente, libera. Veneranda è una luce in un luogo di oscurità. 
E la macchia sbiadisce, quasi dimenticata. 
La narrazione è semplice e mette a nudo emozioni complesse, proprio perché l’autrice ce le presenta immediate, ancora taglienti, fresche e grezze
La Chisari calca una Sicilia magica e complessa. Una terra ricca di contraddizioni, conducendoci in luoghi segreti, sfiorati dalla poesia semplice della vita, che ha il suo profumo dolce e un sussurro che sembra lo sciabordio del mare e il sospiro della maestosa e placida Etna. Di candele volitive e di momenti in penombra dove il religioso e il profano si intrecciano, da mani esperte, confondendosi, amalgamandosi, diventando qualcosa di unico, che non si può dividere. 
Ma l’autrice ci parla anche di una Sicilia dura, mordace, di silenzi che fanno male, di mani grosse che lasciano solo lividi, di gioventù allegre strappate vie senza nessun riguardo. E qui viene intrecciato il destino crudele a cui sono legate inevitabilmente le donne, che per colpa degli uomini invecchiano sempre troppo presto. 
Bimbe felici e ignare, figlie vendute e distrutte, mogli che venivano picchiate dai mariti per continuare ad essere doverose e obbedienti, per poi diventare anziane nodose lente dai troppi ricordi. 
Angelina, Tanina, Veneranda, Nunzia. 
Ragazze divenute donne, costrette a subire violenza e a portare la vergogna come se fosse stata una scelta loro, vivendo una vita in cui sono state costrette a forza. Una maledizione che cresce, un sangue fatto di fiele, dolore, disperazione e una speranza di liberta che pare essersi annacquata in alcune generazioni per poi tornare con impeto in altre
Ed è proprio Veneranda a spezzare la catena. Cresce libera in ogni aspetto, annichilisce le cattiverie, si sente forte nella passione e giusta negli affari della vita. Ha un’attività che frutta, un’amante ossessionato, i fratellastri e la matrigna che la ascoltano e il rispetto di tutto il suo paese. C’è una potenza che scardina nella figura della Gnu Ranna, come verrà chiamata Veneranda, che arde di una splendida indipendenza. Cammina sola, non indossa il fazzoletto, contratta e parla senza mitigare la sua voce, che ha preso anche il posto della Fuliara scomparsa. Tutti sono desiderosi di parlare, di farsi aiutare, curare. 
Così arriviamo a Nunzia, figlia di Veneranda, che è una meraviglia. Leggiadra, quieta, avida di conoscenza, spensierata, amata da tutti e trattata come una principessa. Veneranda ne diviene ossessionata, la tiene sempre con sé, gelosa delle sue attenzioni e del suo cuore. E quando Nunzia cresce in una giovane adolescente la sua bellezza è abbagliante, Veneranda avverte una morsa gelata intrappolarla, desiderando tenere sotto chiave la figlia, nessuno deve vederla, infatuarsene e portala via.
Decreta che Nunzia non deve sfiorire, non deve essere toccata dalle mani avide e distruttive degli uomini. Ma il cuore di Nunzia soffre, soffocata da una madre che non vuole liberarla, e sacrifica tutto pur di vivere il proprio sogno d’amore. Ed è qui che la Gnu Ranna sembra perdere il senno e scivola in una follia che le pare giusta, dovuta, potente: maledicendo una stirpe.
E la macchia, l’eredità femminile che ha sobbarcato per anni torna con furia per sbocciare, nel più crudele dei modi. 
La Fuliara è un romanzo che deve scombussolare e tiene viva una rabbia che sembra avere secoli di storie e bagagli. Uomini spregevoli che vendono e comprano donne, per un vizio passeggero o per la semplice voglia di potere. Ma anche di donne che scivolano in un sentiero di pazzia, dove la libertà che hanno preso a morsi con energia… non vogliono darla ad altri. 
Uomini e donne innamorati, gentili, torbidi, odiosi, speranzosi e volgari, rattristiti e colmi di furore. La carne che si raddoppia, cresce e si allontana. E l’urlo di una maledizione che attinge da un odio che ci fa traballare per la sua forza. Una storia vera che taglia, macchia, per essere ricordata.

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